Padre Nostro

DIO E’ PADRE  SEMPRE di Filippo MARINO

“Pater noster qui es in coelis” :  quante volte l’abbiamo sentito quand’eravamo bambini quando labbra colte e devote profferivano in latino quella che il Santo Vescovo di Cartagine considera l’orazione per eccellenza perché insegnataci da Gesù stesso, la “Dominica Oratio” per l’appunto.

Con l’Ave Maria, la preghiera alla Mamma Celeste, e il Gloria Patri costituiva e costituisce la “trilogia” per eccellenza delle preghiere che venivano insegnate al Catechismo parrocchiale e che erano e sono fonte di ogni catechesi.

La preghiera del Signore comporta che il cuore sia toccato, che la mente venga illuminata, che la sollecitudine fraterna spinga a chiamare “Padre” Colui che è e che ci vuole sempre suoi figli. Un Padre “che è nei cieli” e che dimora quaggiù nella nostra interiorità, che si fa pensiero e azione perché la confidenza sincera di figli può grandi cose per effetto dello Spirito.

Quando intrapresi gli studi sul “Padre Nostro” non ero a digiuno di ciò che altri teologi, esegeti e liturgisti avevano compiuto prima di me. Ma la “consuetudo studiorum” con Cipriano di Cartagine – oggetto della mia tesi di laurea – aveva prodotto in me una “ratio”, un “quid” d’inafferrabile e arcano che era a portata di mano. Sì, il Dio dei Cristiani, il Giusto e Misericordioso per eccellenza, l’Ineffabile e il Tutto, il Piissimo e l’Eccellentissimo, il tre volte Santo e il Clementissimo, l’Alleato di sempre e l’Amorosissimo non poteva mai tentare l’uomo, non lo poteva mai precipitare negli abissi del peccato, non poteva mai dannarlo all’inferno.

E noi vogliamo “santificato il suo Nome” perché coscienti che Egli è il Dio della retta via e del perdono, della fede che non muore e dell’infinita speranza, della carità che rivela le nostre miserie e pur ci indirizza “al premio che i desideri avanza” di manzoniana memoria.

Si faceva strada allora in me che il Padre Nostro si spiega con l’insegnamento della Chiesa e che la stessa Preghiera del Signore è sempre fonte di gioia e di consolazione.

A queste condizioni il suo Regno viene tra noi oggi e per tutto il tempo che sarà perché la prerogativa di Dio è di pace e non di afflizione, di gioia e non di mestizia.

E la fiducia di figli attende il pane, ciò che di giorno in giorno è buono e ci consente di glorificare il Padre Celeste, al quale si eleva l’umana preghiera di “rimettere i nostri debiti” com’è doveroso che “noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’itinerarium mentis in Deum richiede la perfettibilità, anzi la perfezione in maniera progressiva e totale del concetto di fraternità che deve animare la nostra umanità pur fragile per il peccato dei progenitori.

Questo della fragilità della natura umana è un tema che ci tocca da vicino e in virtù della Grazia dello Spirito Santo noi possiamo superare la prova ed essere interiormente liberi perché non c’è un terzo, un “aliquis” che ci porta nel baratro, ma la stessa nostra volontà corroborata proprio dal discernimento e dalla prova matura la “decisione del cuore”(CCC 2848) della resipiscenza e della conversione.

Dunque “NON ABBANDONARCI ALLA TENTAZIONE”, o Signore, non lasciarci soccombere ad essa ed alle sue vanità, perché solo Tu sei l’Eterna Sapienza, a cui si adegua la nostra volontà.

Del resto è lo stesso San Paolo, di cui abbiamo di recente celebrato il bimillenario della nascita e che è tanto caro alla fede e alla devozione nelle due sponde dello Stretto, a confortarci: “Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze”(Corinzi I, 10-13).

La Sacra Scrittura si spiega con il Magistero della Chiesa: San Paolo, i Padri Apostolici, l’insegnamento perenne della Chiesa ci esortano a chiedere al Padre di non permettere di entrare in tentazione.

Se il “Padre Nostro” è e si conferma dopo le recenti formulazioni della CEI la “Preghiera per antonomasia”, è pur vero che dobbiamo ricorrere con fiduciosa insistenza a Maria “Madre del Verbo e dell’Eterna Sapienza” a intercedere per noi presso il suo Divin Figlio perché la comprensione e, più ancora, la pratica di ciò che noi chiediamo a Dio possa essere veicolo di grazie per noi stessi e per il nostro prossimo. La “preghiera per gli altri” è un buon antidoto per evitare sia l’aridità della fede che l’egoismo orante.

La tentazione, dunque, si evita nella preghiera perché “il combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera”(CCC 2849).

E la Madonna Santissima non è Madre di ogni consolazione ?  E non è forse la “scorciatoia” che porta a Gesù ?

 

 

Filippo  MARINO

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